Il bollettino irpino

Giornale d'informazione e commento di quanto accada sul territorio avellinese. Acquisto libri con e-mail: jki74@libero.it

sabato 25 ottobre 2025

Avellino: il travestimento politico gratifica solo la clientela..!


Livio Petitto, Antonio Tajani, Angelo D'Agostino, Fulvio Martusciello e Laura Nargi..!

Gianluca Festa, appena eletto sindaco, presentò con grande enfasi un programma articolato in sedici punti numerati, una sorta di agenda del cambiamento per Avellino.

Di quell’elenco, però, nessuno dei punti annunciati è stato realizzato in maniera concreta

promesse rimaste sulla carta, iniziative mai decollate, progettualità disperse tra annunci e rinvii.

La sua vice, lungi dal prendere le distanze, ha avallato con la propria presenza quel progetto politico lontano dal programma, che nulla ha a che vedere con le reali esigenze della città. 

Un atto che suona più come una scelta di opportunità che come una presa di responsabilità.

Ebbene, oggi entrambi si ripropongono perfino per la Regione, rilanciando la consueta retorica dei grandi piani e degli arrembaggi amministrativi. 

Ma qui la domanda è semplice:

se non si è stati capaci di realizzare nulla nella propria città, con strumenti e poteri concreti a disposizione, che cosa ci si può attendere da un’eventuale esperienza regionale?

La risposta non richiede grande sforzo logico.

A parte il vantaggio economico e la visibilità personale, difficilmente la loro presenza in Consiglio regionale potrebbe tradursi in un beneficio reale per l’Irpinia.

Anzi, rischierebbe di riprodurre lo stesso copione, fatto di grandi promesse e risultati modesti o inesistenti.

L’impegno per una politica rinascimentale della nostra provincia, sbandierato in campagna elettorale, resterebbe dunque un sogno retorico, un esercizio di immaginazione più che un progetto di governo.

È ora che gli elettori smettano di accontentarsi delle parole e pretendano coerenza tra i programmi annunciati e le azioni compiute. 

La credibilità politica non nasce dai proclami, ma dai risultati, e su quelli — purtroppo — il bilancio è sotto gli occhi di tutti.

In politica il passaggio da sinistra a destra, se avviene senza ritegno e senza una reale evoluzione ideale, non è solo incoerenza, è una forma di truffa morale.

Un artificio elaborato per meri fini personalistici, costruito sull’idea che l’elettore dimentichi in fretta e che il potere, alla fine, conti più della coerenza.

Un simile comportamento dovrebbe lasciare l’elettore interdetto, persino indignato, e spingerlo a valutare con severità l’inqualificabile leggerezza di certi percorsi politici.

E invece no.

Lor signori sono certi di poter contare su una fedeltà cieca, su quella pletora di affezionati che li seguirà comunque, ovunque, indipendentemente dalle bandiere sotto cui sfilano.

È la logica del gregge, un consenso costruito sulla clientela e e non sulla convinzione, sulla simpatia personale più che sulla sostanza delle idee.

A questo punto, stabilire che cosa sia il peggio non è difficile.

Se persone come Festa, Nargi, Petitto...credono davvero di poter conservare consenso pur cambiando schieramento a seconda della convenienza, allora il problema non è solo loro.

È anche di una parte dell’elettorato che continua a premiare l’ambiguità invece della coerenza, l’apparenza invece dell’etica pubblica.

La politica non può essere un mestiere di travestimenti. 

Chi cambia casacca come si cambia giacca tradisce non solo un’idea, ma il rispetto dei cittadini. 

E quando la fiducia diventa merce di scambio, la democrazia perde la sua anima e resta solo il rumore del potere che gira a vuoto.

RDM




venerdì 24 ottobre 2025

Avellino e l’Italia “bananifera”

Laura Nargi e Gianluca Festa..!

Troviamo davvero singolare che Antonio Gengaro, se dovesse candidarsi alle prossime regionali di novembre, possa trovarsi di fronte due figure già note alla cronaca come Laura Nargi e Gianluca Festa. 

Il tutto come se l’inchiesta Dolce Vita non fosse in corso, come se la memoria collettiva fosse evaporata insieme al senso di responsabilità politica.

In altri Paesi europei, anche solo un’ombra sulla trasparenza o un curriculum poco limpido bastano per precludere ogni aspirazione pubblica. 

In Italia, invece, accade il contrario, più la reputazione vacilla, più l’aspirante politico sembra acquisire visibilità e consenso. 

È il paradosso di una democrazia che ha smarrito il legame tra rappresentanza e moralità, tra potere e servizio.

Avellino, in questo senso, è diventata una cartina tornasole di un fenomeno nazionale. 

In pochi anni la città è passata dagli scandali alle inchieste giudiziarie, dai suicidi alle falle nella sicurezza pubblica, senza che tutto ciò generasse un reale moto di indignazione. 

Anzi, l’elettorato spesso si mostra indulgente verso chi è coinvolto in procedimenti giudiziari, arrivando perfino a diffidare degli inquirenti. 

È un ribaltamento dei valori che racconta più di mille analisi sociologiche perché il confine tra vittima e responsabile, tra giustizia e persecuzione, sembra ormai sfumato.

Mentre in Germania o in Francia un politico si dimette per un conflitto d’interessi o per un errore di trasparenza, da noi si continua a invocare il garantismo come scudo morale, dimenticando che la credibilità delle istituzioni non si misura solo nelle aule dei tribunali, ma soprattutto nel rispetto della fiducia dei cittadini.

L’Italia, e Avellino in particolare, sembrano vivere una fase in cui l’etica pubblica non è più prerequisito, ma accessorio. 

Una politica che non sa distinguere il sospetto dal prestigio, l’inchiesta dal merito, è destinata a diventare autoreferenziale e sterile. 

Ed è proprio da questa confusione che nasce quella sensazione di bananifera — un’Italia che, invece di ispirarsi ai modelli europei di integrità e responsabilità, continua a indulgere nei suoi paradossi morali, trasformando la politica in spettacolo e la sfiducia in consenso.

RDM


giovedì 23 ottobre 2025

Cirielli e la distanza tra politica e territorio

Boccia, Sangiuliano, qui con Cirielli, e Nargi sono un bel trittico di impresentabili, secondo il nostro modesto avviso..!

Oggi il candidato alla presidenza della Regione Campania, Edmondo Cirielli, attuale viceministro di Fratelli d’Italia, rappresenta l’ennesimo volto di una politica che sembra guardare più agli equilibri di partito che ai reali bisogni dei territori.

È lo stesso Cirielli che in passato si era reso protagonista di un maldestro tentativo di separatismo amministrativo, proponendo di fatto una Regione Salerno, ignorando completamente il valore dell’unità e della cooperazione tra le province campane.

Un’idea che tradisce lo spirito stesso dell’autonomia: non rafforzare, ma dividere.

Di fronte a una Campania che soffre di disoccupazione, precarietà e sanità al collasso, la destra al governo – da Giorgia Meloni in giù – appare confusa e inaffidabile.

Le scelte economiche e internazionali del governo parlano chiaro, si spendono miliardi per armare l’Ucraina, si accettano forniture di gas a costi insostenibili dagli Stati Uniti, mentre milioni di italiani fanno i conti con bollette, inflazione e salari fermi da decenni.

Il Governo si muove più come un esecutore di direttive esterne che come un interprete dei bisogni nazionali.

Le priorità sembrano altre: la gestione del potere, la tutela delle carriere personali e la propaganda identitaria che non serve a nessuno.

Intanto, la cronaca politica campana continua a restituire un’immagine desolante del rapporto tra consenso e legalità.

Nei giorni scorsi è finita ai domiciliari Veronica Biondo, vicesindaco di Santa Maria a Vico e candidata alle regionali in Campania con Forza Italia, nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Napoli su presunti episodi di voto di scambio e collegamenti con ambienti criminali.

Solo quattro giorni prima dell’arresto, Biondo aveva lanciato la sua campagna elettorale accanto al coordinatore regionale azzurro Fulvio Martusciello.

Il partito ha immediatamente annunciato che non sarà candidata, ma il caso riaccende un interrogativo più ampio: quali sono oggi i criteri con cui si seleziona la classe dirigente campana?

Perché la politica continua a muoversi tra opacità, fedeltà interne e silenzi strategici?

Le difficoltà della sanità irpina e il crescente senso di abbandono dei cittadini sono il riflesso di un sistema politico che ha perso il contatto con il reale.

Il ruolo di Cirielli in questa fase non è marginale, rappresenta il volto di una destra che, in Campania come a Roma, continua a privilegiare gli equilibri di potere rispetto alle urgenze sociali.

È su questo terreno – quello della distanza tra rappresentanti e rappresentati – che si gioca il futuro politico della regione.

Candidare Laura Nargi e Gianluca Festa è il segnale di una politica attenta al potere e basta, il servizio e la voglia di risolvere problemi sono un pleonasmo che alla lunga, di certo porterà a qualcosa di grave.

RDM


mercoledì 22 ottobre 2025

Avellino: il caso Nargi tra opportunismo e incoerenza


La recente apparizione televisiva di Laura Nargi, accolta nel partito da Angelo Antonio D’Agostino, segretario provinciale di Forza Italia, restituisce un’immagine poco edificante della politica locale.

Le sue dichiarazioni, più che delineare una visione chiara o un progetto amministrativo concreto, mettono in luce una certa fragilità nella dialettica e nella capacità di argomentare. 

Dietro i sorrisi e le pause studiate, si percepisce l’assenza di una reale padronanza dei temi trattati, mentre le giustificazioni sul suo recente cambio di schieramento appaiono più come tentativi di rattoppo che come spiegazioni convincenti.

La poltrona a cui Nargi fa riferimento non era propriamente sua, ma parte di un assetto politico costruito attorno alla figura di Gianluca Festa, con il quale ha scelto di riallinearsi pur di mantenere una posizione di rilievo nell’amministrazione comunale.

La motivazione da lei offerta — quella di voler portare idee di sinistra all’interno della destra — risulta quantomeno contraddittoria. 

Prima di invocare un dialogo tra culture politiche differenti, sarebbe necessario possedere una reale comprensione delle differenze tra progressismo e liberalismo, concetti che non possono essere confusi o piegati alle esigenze contingenti.

Ciò che lascia ancor più perplessi è la leggerezza con cui si sceglie di tornare sulla ribalta pubblica pur consapevoli della possibilità di esporsi a ulteriori critiche.

La riunione sotto la stessa bandiera dei due protagonisti appare più come un gesto di opportunismo politico che di reale rinnovamento: il segno di una classe dirigente che, invece di riflettere sugli errori, sembra volerli rivendicare come trofei.

Episodi come questo non sono casi isolati, ma sintomi di un sistema politico che tende a premiare la sopravvivenza più della coerenza, la fedeltà al potere più della capacità.

Finché il dibattito pubblico continuerà a ruotare intorno a strategie personali anziché a idee, la credibilità delle istituzioni resterà fragile e i cittadini continueranno a sentirsi spettatori disillusi di uno spettacolo che cambia attori ma non copione.

RDM

martedì 21 ottobre 2025

Avellino: il Pronto Soccorso del Moscati: simbolo di un'Irpina allo sbando..!

Il lazzaretto del Pronto Soccorso al Moscati

Il Pronto Soccorso dell’Ospedale Moscati di Avellino è diventato, purtroppo, il simbolo di un sistema sanitario locale che ha smarrito la propria missione: servire i cittadini. 

Una struttura moderna, costata miliardi delle vecchie lire, oggi ridotta a un luogo di disservizi e disorganizzazione che mortifica la dignità di pazienti e operatori.

La realtà è sotto gli occhi di tutti. 

Non possiamo continuare a indignarci solo a parole, le cause di questo degrado sono note e affondano nella cattiva gestione politica e amministrativa, che troppo spesso ha preferito logiche di potere e appartenenza alla competenza e al merito.

Negli ultimi anni, la sanità irpina è stata travolta da scelte discutibili, nomine poco trasparenti e una visione centralistica che ha penalizzato interi territori. 

Invece di valorizzare le professionalità e le strutture esistenti, si è preferito inseguire interessi personali o di gruppo, generando inefficienze e malcontento.

Una delle pagine più sconcertanti riguarda proprio la gestione degli spazi del Moscati. 

Non c’era alcuna ragione di aprire una guerra di competenze con il Comune per ottenere nuovi suoli, gli spazi interni esistono, e sono ampi, inutilizzati, perfettamente idonei ad ampliare il Pronto Soccorso.

Eppure si è preferito alimentare contrapposizioni, lasciando che la politica locale dettasse le regole — anche per compiacere chi, da sindaco, aveva trasformato ogni questione amministrativa in terreno di potere personale. 

Una scelta miope, che ha prodotto solo ritardi e disagi per l’utenza.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti, una struttura che avrebbe potuto essere un modello per l’intera regione è oggi l’emblema di un sistema bloccato da personalismi, ambizioni e rivalità.

La sanità irpina non può più permettersi queste guerre di posizione, servono responsabilità, visione e rispetto per la comunità che ogni giorno chiede soltanto di essere curata con dignità.

La politica assente qui, al Centro Autismo o alle Politiche Sociali, fa spallucce durante gli anni, rivitalizzandosi solo nei periodi preelettorali, perché il cittadino è la mucca da mungere e quando non serve più, mandarla al macello. 

RDM

lunedì 20 ottobre 2025

Avellino: l’ipocrisia come progetto politico

 Laura Nargi e Gianluca Festa

Avevamo apprezzato Fulvio Martusciello quando si era scagliato contro Fratelli d’Italia per la candidatura dell’impresentabile Gianluca Festa, ricordando che la destra non dovrebbe essere il refugium peccatorum degli esclusi da altri partiti.

Parole sagge, che sembravano il segno di una svolta etica.

Invece, la coerenza resta e permane quale difetto e l’opportunismo una virtù.
Eppure, eccoci di nuovo di fronte al paradosso: il vice dell'ex sindaco Festa, immortalato dalle telecamere della Procura, Laura Nargi, approda nel partito che fu di Berlusconi, quasi fosse un personaggio appetibile e qualificante.

L’ipocrisia, ancora una volta, è stata eletta a ragione di vita.

Ogni residuo di coerenza ideologica si dissolve davanti all’unico vero interesse: la conquista del potere.
Non importa il colore politico, ma la possibilità di raggiungere la stanza dei bottoni.

Anche a sinistra, indagati e imputati aggirano lo stigma degli impresentabili confluendo armi e bagagli dall’altra parte, come se fosse una semplice formalità, un cambio d’abito di circostanza.

Siamo all’intollerabile della natura umana, sempre più rivolta al cazzismo e sempre meno al servizio della comunità.

Una comunità che, a sua volta, garantisce la sopravvivenza di questo sistema con una fedeltà elettorale cieca, priva di ogni attesa morale o ideale.

E mentre Roberto Fico viene guardato con sospetto per aver proposto di liberare la sanità dalla politica, Cirielli consolida la propria posizione nel governo con la convinzione che solo la sua guida possa garantire alla Campania l’accesso ai fondi europei — come se il diritto a rappresentare il Paese appartenesse solo a chi sta a destra.

La vera tragedia, oggi, è la chiusura totale del cervello della tifoseria politica, da una parte e dall’altra.

Il popolo non riflette più, non si applica, ma ripete pedissequamente il pensiero di chi ha trasformato la narrazione in realtà, piegandola di volta in volta alle proprie esigenze.

La cortigiana di Landini, espressione che tanto scalpore ha suscitato, non è altro che la resa incondizionata di Meloni agli Stati Uniti — prima con Biden, oggi con Trump.

E il fatto che i due presidenti appartengano a ideologie opposte non ha minimamente incrinato la fede atlantista che il presidente italiano ha elevato a dogma.

Un credo religioso più che politico, che travalica i cambi di scenario e resiste a ogni contraddizione.

Ma guai a mettere in discussione questo legame che serve solo agli Usa che ci stupra un giorno si e uno pure, e al mantenimento del potere in Italia. 

Chi lo fa viene subito tacciato di sessismo, razzismo o antiamericanismo, a seconda della convenienza del momento.

È la solita scorciatoia, accusare per non argomentare.

Un riflesso condizionato di una parte politica che preferisce la comoda etichetta alla fatica del ragionamento.

Questo è il nuovo ambiente sociale e innaturale che si è istituito come filosofia di vita.

Un sistema che non tollera il dissenso, che demonizza il dubbio e che trasforma la complessità in motto, e guai, davvero, a volerlo contrastare.

RDM

sabato 18 ottobre 2025

Avellino: il confine sottile tra ordine e caos..!

 

Gli abusi partono da lontano e si cancrenizzano nella tolleranza a orologeria..!

Nel 1969, lo psicologo Philip Zimbardo condusse un esperimento tanto semplice quanto rivelatore. Lasciò due automobili identiche in due quartieri diversi: una nel Bronx, l’altra a Palo Alto.

Nel giro di poche ore, quella del Bronx fu saccheggiata e distrutta. Quella di Palo Alto rimase intatta per giorni, finché lo stesso Zimbardo non ruppe un finestrino.

Da quel momento, l’auto perfetta smise di esserlo: in poche ore, anche quella fu devastata da sconosciuti.

Da questo episodio nacque una delle intuizioni più potenti della psicologia sociale: il disordine genera disordine. Una finestra rotta, di Wilson e Kelling (1982), non è solo una crepa nel vetro, ma un messaggio silenzioso che dice: qui le regole non valgono più. 

È il segnale che autorizza, inconsciamente, il degrado a moltiplicarsi.

La teoria delle finestre rotte ha influenzato per decenni la criminologia e le politiche urbane. Ma oltre la polizia e le statistiche, c’è un significato più intimo e collettivo: il degrado inizia sempre dalle piccole tolleranze.

Dalla carta gettata a terra, dall’insulto normalizzato, dall’ingiustizia accettata come inevitabile.

Tuttavia, il rischio opposto è altrettanto reale: usare la teoria come giustificazione per reprimere il diverso, o per colpevolizzare i luoghi invece delle cause profonde che li attraversano.

Siamo davvero plasmati dagli ambienti, o sono i nostri sguardi e i nostri pregiudizi a trasformare certi spazi in zone di disordine?

Forse la verità sta nel mezzo. Il confine tra ordine e caos è fragile, e si misura nei gesti quotidiani.

Prendersi cura di ciò che ci circonda non è un atto di conformismo, ma di responsabilità. Perché ogni finestra riparata, ogni gesto civile, ogni parola giusta detta al momento giusto, è una piccola forma di resistenza contro l’indifferenza.

RDM