Ad Avellino la linea che separa il mondo delle imprese da quello della politica è diventata sempre più sottile.
Negli ultimi anni si sono moltiplicati i casi in cui enti pubblici, aziende private e associazioni si sono intrecciati in rapporti difficili da interpretare, al punto da far sorgere dubbi legittimi su trasparenza, conflitti d’interesse e corretto uso delle risorse collettive.
Uno degli esempi più evidenti riguarda la gestione dei servizi pubblici essenziali — come la raccolta dei rifiuti — che, da funzioni di interesse generale, si sono trasformati nel tempo in strumenti di potere e di influenza politica.
Le società appaltatrici diventano spesso attori centrali nel mantenimento di equilibri amministrativi e, talvolta, nel sostegno di attività associative o sportive legate a chi riveste ruoli pubblici.
Non si tratta di accusare o di indicare colpevoli senza prove, ma di porre una questione di metodo e di principio.
Quando un’azienda che gestisce un servizio finanziato con soldi pubblici decide di sostenere economicamente realtà vicine ad amministratori o rappresentanti politici, la trasparenza dovrebbe essere immediata e totale.
Chi governa non può permettersi ambiguità: anche il solo sospetto di commistione mina la fiducia dei cittadini.
Avellino non è un caso isolato, ma il suo esempio è emblematico.
La città ha visto alternarsi amministrazioni e appalti, sempre accompagnati da dichiarazioni di legalità e di rinnovamento, eppure i meccanismi restano invariati.
Le relazioni tra politica e impresa continuano a muoversi in una zona grigia dove il consenso, spesso, si costruisce più con le sponsorizzazioni e le attenzioni che con la qualità della gestione.Il problema è culturale prima ancora che normativo. Da tempo la cittadinanza sembra rassegnata a un sistema in cui la vicinanza ai poteri forti o ai centri di spesa è considerata normale.
E invece, è proprio qui che si gioca la vera partita del rinnovamento: nel pretendere regole chiare, gare trasparenti, contributi pubblici tracciabili e incompatibilità rigide tra chi amministra e chi riceve fondi o sponsorizzazioni.
Una città sana non si misura solo dalla pulizia delle strade o dalla qualità dei servizi, ma dalla limpidezza dei rapporti che li governano. Finché gli interessi privati e quelli pubblici continueranno a confondersi, Avellino resterà prigioniera di un modello che premia le relazioni più della competenza, e l’appartenenza più del merito.
Il passo necessario non è rivoluzionario, basta applicare le regole, pubblicare ogni atto, rendere visibili i flussi di denaro, dichiarare apertamente legami e sostegni economici.
Solo così la città potrà riconquistare la fiducia dei suoi cittadini e tornare a essere una comunità, non un terreno di scambio.
In tempi in cui la politica locale appare distratta e frammentata, la vera opposizione non sta nei partiti, ma nella trasparenza. È lì che Avellino può ricominciare.
RDM
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