La chiusura dell’isola ecologica è una brutta notizia, certo.
Chiunque abbia a casa un vecchio mobile, un elettrodomestico rotto o semplicemente un po’ di senso civico sa bene quanto sia frustrante non poter smaltire correttamente i propri rifiuti.
Però – e qui è inevitabile dirlo – questa vicenda è anche l’ennesimo sintomo del modo di amministrare che Avellino sta imparando dopo aver vissuto incompetenza e approssimazione con la rassegnazione di una malattia cronica incurabile.
il Commissario Perrotta sta contollando la partecipata Grande srl creata con De Vizia, con un'immediatezza sospetta che però nessuno ha ritenuto fosse uno schiaffo economico e forse legale, che avrebbe meritato un controllo serio.
Per anni ci siamo abituati a convivere con l’irregolarità spacciata per normalità, con l’abuso elevato a stile di governo.
Guardiamo la città, auto parcheggiate in divieto, in doppia o tripla fila, come se la strada fosse proprietà privata di chi capita, e tutto sotto lo sguardo tranquillo e sereno di chi dovrebbe far rispettare le regole.
Davanti all’elettrauto di via Circumvallazioe, ex Mostino, ad esempio, la Polizia Municipale è diventata più un elemento d’arredo che un presidio di legalità:
si nota la divisa, non l’azione, e tutto quanto non nasca dal nulla.
Questo è un modo d’essere, un modello amministrativo diventato cultura popolare.
Un’eredità pesante.
Un’impronta precisa lasciata da chi ha governato negli ultimi anni.
Perché è semplice avvicinarsi al peggio.
È comodo. È divertente. È seducente.
È molto più impegnativo, invece, tornare indietro, rimettere ordine, ricucire senso civico, ricordarsi che uno spazio pubblico non è un salotto privato, e l'ex Prefetto lo sta mettendo nero su bianco.
Le notti indimenticabili del centro storico, quelle di cui l’ex sindaco Nargi andava fiero come se fossero un premio di qualità della vita, erano in realtà lezioni pratiche su come privatizzare lo spazio pubblico a uso e consumo del caos.
Non parliamo di movida.
Parliamo di addestramento all’assenza di regole.
E i grandi festeggiamenti, le feste di piazza, le luci, la musica, l’allegria programmata a tavolino – marchio di fabbrica di Festa – non erano che una strategia collaudata:
creare consenso distribuendo intrattenimento.
Il divertimento come anestetico, la festa come distrazione, l’aggregazione come strategia e pianificazione.
Risultato?
La città non è stata resa più viva.
È stata resa più vulnerabile.
Si è normalizzato lo sgarbo, l’abuso piccolo e grande, l’idea che tanto si può fare.
E dalla piccola infrazione al degrado strutturale il passo, si sa, è più breve di quanto ci piace credere.
Oggi Avellino paga il conto: insicurezza, spaccio, inciviltà diffusa, rassegnazione.
E la chiusura di un’isola ecologica diventa solo l’ennesimo capitolo della stessa storia.
Una città si educa.
Avellino, per anni, è stata diseducata.
Rimetterla in piedi sarà molto più difficile che metterla a ballare.
RDM
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