Ieri sera si è
tenuto un Consiglio comunale per poter recitare la solita “estrema unzione”
tanto cara ai presenzialisti, perché molto d’immagine e scarsamente impegnativa.
Il minuto di
silenzio bastava ed avanzava per un consesso ipocritamente attento, solo a
quanto possa essere interessante economicamente, e quindi agli attacchi
sconsiderati e quasi sempre inesatti, per il patologico orgasmo ideologico,
dell’insoddisfatto cronico Gianluca Festa, al ridicolo presidente dell’Alto
Calore, De Stefano, che pone pezze peggiori dei buchi, o al problema atavico dei
debiti comunali ormai aumentati in maniera esponenziale, arrivando a quote oltre
i 150 milioni di euro…!
La Corte dei Conti
continua a figurare per iscritto il pre dissesto che tutti vogliono scongiurare
per non dovere poi, risponderne personalmente, alla faccia degli interessi
della collettività.
La morte dell’architetto
Francesco D’Onofrio, seguita a due giorni da quella di un altro suicida, non
pare destare interesse, quindi, e se queste dovessero essere la punta di un
iceberg che ne nasconde altre 21 dall’inizio dell’anno, portando il capoluogo
irpino ai vertici negativi nazionali, insieme a quello della vivibilità, che
vuoi che sia davanti al rischio di una presidenza Ato o altre amenità che l’assessore
Ruberto stamane ha definito importantissime?
Il consigliere
Nicola Poppa, pertanto, si è scontrato con coscienze distratte e sorprese dalla
“superficialità” dell’amministratore capogruppo, infastidite dalla perdita di
tempo di Poppa che dibatteva sulle
responsabilità di un’amministrazione sorda alle grida d’aiuto di una sofferenza
diffusa e sconosciuta.
Si meravigliavano
i consiglieri, di questa presa di posizione fin troppo passionale per la morte
di un dirigente qualsiasi che non ha avuto la forza di rispondere agli eventi,
forse che gli altri 24 scomparsi per lo stesso “male” dall’inizio dell’anno, non potessero cercare aiuto da qualche parte
evitando ogni fastidio alla città?
A Roma, le
Ferrovie dello Stato hanno immaginato di fornire una collocazione alle
associazioni di volontariato nelle stazioni, prevedendo un aiuto concreto ai
meno fortunati; ad Avellino ci si scarica la coscienza regalando ai furboni
come Carlo Mele o Don Emilio Carbone, soldi a pioggia, purchè si tolgano dalle
palle: loro, servilmente, secondo l’animo di questo triste paesucolo, lo sanno,
ed arraffano senza mai fornire uno straccio di rendicontazione.
Tant’è, questa è
la conformazione spirituale avellinese: pensare ai poveri che si aggirano per
le strade di notte, ai sofferenti che vivono una realtà minata nel corpo e nell’anima,
è solo letteratura.
Preoccuparsi di
questi drammi e fornire un ascolto girando di notte, provvedere ad un sostegno, parlare e rendersi attenti, impiegare
strutture inutilizzate per i bisognosi, diventa utopia: un lavoro vero porterebbe
gratificazioni e dignità ai tanti che potrebbero impegnarsi.
Smettere il
turpe mercimonio dell’accattonaggio Caritas e di tutti quelli che ogni giorno
stazionano al Comune con il cappello in mano per fregare la città con rappresentazioni,
eventi, ristori, utilizzo sfrenato della
cosa pubblica per i cazzi propri, indebolirebbe il ritorno elettorale, ma si garantirebbe il
bene pubblico, quello di cui parlava Nicola Poppa, l’unico con un cuore
pulsante in una società che forse merita lo squallore che la circonda.
RdM
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