Siamo nelle ferie d’Avvento,
siamo in quei giorni che si avvicinano al tripudio del 25 dicembre, giorno
della nascita di un piccolo ometto che nessuno immaginava potesse mai giungere
in quel modo povero, umile, disagiato.
Ricco, invece, della sua coscienza e della bontà di una vita
in dono, per noi che non ne avevamo donde, per noi che respingiamo qualsiasi
salvezza, per noi pieni del nostro orgoglio innestato in una secolarizzazione
immonda che reputiamo grande, al di sopra del giusto e del reale.
E c’era un cucciolo
stamane in Chiesa, lì al Corso, al Rosario, che non voleva starmi lontano,
credeva che io fossi degno delle sue attenzioni e dell’amore che solo agli
animali è dato donare con tanta potenza e dedizione.
Mi sentivo incapace di
restituire quella grandezza che gli occhi del cucciolo mi trasmettevano nell’anima:
era un randagio, abituato ad una continuazione di sofferenza che non lo distoglieva
dal fermarsi con me, dall’attendermi con grazia, dal regalarmi in continuo
messaggi d’amore.
Anche quando si è
avvicinato alla fila dell’Eucaristia, l’ha fatto in silenzio, senza
infastidire, e perfino il sacerdote ha avuto un moto di compiacenza, abbozzando
un sorriso che mi ha aiutato a capire.
Ho capito, ed ho
sentito che il Natale è un momento diverso in cui l’aria si rarefà per esprimere
i suoi miracoli che scorgeremo chiaramente appena vorremo avere attenzione e pace
nell’anima, allontanando la mente e le azioni dallo squallore dei soliti
pensieri, quelli che non guardano dove un cucciolo senza casa ed all’addiaccio,
vorrebbe vedessimo per noi, i nostri figli, i malati, i sofferenti, i detenuti,
gli sfortunati, gli emarginati.
Tanta serenità a
chiunque mi legga ed a tutti quelli che non lo faranno.
RDM
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